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IL PRIMO INCONTRO DI MEDIAZIONE. PARTECIPAZIONE DELLE PARTI E PROCEDIBILITA’ DELLA DOMANDA. ANALISI GIURISPR

2021-03-03 17:13

Valentina Maria Siclari

Diritto Civile,

IL PRIMO INCONTRO DI MEDIAZIONE. PARTECIPAZIONE DELLE PARTI E PROCEDIBILITA’ DELLA DOMANDA. ANALISI GIURISPRUDENZIALE. ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Cassazione civile, 27 marzo 2019 n.


8473


Posto che nel procedimento di


mediazione obbligatoria (art. 5, d.lgs. 28/2010) è necessaria la comparizione personale delle parti


davanti al mediatore, assistite dal difensore, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale,


eventualmente nella persona dello stesso


difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di


apposita procura sostanziale.


La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al


mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla


mediazione, comunichino la propria indisponibilità


di procedere oltre.


 


Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019


Non è condivisibile il principio di


diritto espresso da Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473, dovendosi invece


ritenere che, ai fini della condizione


di procedibilità, già nel corso del


primo incontro, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle


parti, si debba procedere ad effettiva mediazione


avendo difatti il primo incontro di


mediazione natura essenzialmente “bifasica”, la prima informativa, sulle


modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva.


 


Tribunale di Roma, 27 giugno 2019,


n. 13630


Va affermata, in senso opposto a


Cassazione civile 7.3.2019, n. 8473, la necessaria


partecipazione personale in mediazione, non delegabile a terzo soggetto,


salvo casi eccezionali di impossibilità giuridica o materiale a comparire di


persona; essa è insita nella natura stessa


della mediazione, nonché implicita ed ineludibile nella corretta interpretazione del d.lgs. 28/2010,


nel suo insieme proteso a favorire il raggiungimento di un accordo attraverso


l’incontro delle parti (personalmente) e il recupero di un corretto rapporto


interpersonale messo in crisi dal conflitto insorto. È in particolare esclusa dalla legge alla radice la presenza


del solo avvocato, sia pure munito


di delega del cliente.


 


**************


L’analisi delle questioni controverse in materia di


mediazione ha interessato in maniera pressocchè prevalente la giurisprudenza di


merito, impegnata ad offrire una lettura della condizione di procedibilità


strettamente connessa alla partecipazione effettiva delle parti.


Seppur non vivace, si registrava un contrasto tra le


possibili interpretazioni della disciplina della condizione di procedibilità di


cui all’art. 5, comma 1 bis del Decreto 28/2010 come riformato nel 2013.


Risultavano, contrapposte le interpretazioni più rigorose,


secondo cui per soddisfare la condizione di procedibilità sarebbe stata


necessaria una mediazione effettiva (la parte cioè avrebbe dovuto non solo


presenziare personalmente al primo incontro assistita dal proprio avvocato ma,


salva l’esistenza di ragioni oggettive di impossibilità, avrebbe anche dovuto


proseguire la mediazione nel merito)


a quelle più morbide secondo cui la presenza, al primo incontro anche


del solo avvocato in sostituzione della parte o addirittura la mera


presentazione dell’istanza sarebbero


state sufficienti ad adempiere l’obbligo che, in ogni caso, sarebbe stato


soddisfatto anche qualora all’esito del primo incontro una od entrambe le


parti, od i loro avvocati, dopo essere stati edotti dal mediatore circa la


natura ed il funzionamento della mediazione, avessero manifestato la loro


indisponibilità a proseguire il procedimento.


A comporre tale contrasto è intervenuta la Suprema Corte


fornendo un’interpretazione idonea a


superare i divergenti orientamenti della giurisprudenza di merito.


Invero, la pronuncia di legittimità costituisce un’occasione


mancata poiché il percorso motivazionale seguito dagli Ermellini ha ingenerato


la pronta critica della giurisprudenza di merito.


Ed infatti, la S.C. in incipit accoglie e fa proprie le


posizioni della giurisprudenza più rigorosa, insistendo sull’importanza che


assume la partecipazione personale e riconoscendo come solo il contatto diretto e l’interlocuzione


informale con il mediatore possano aiutare le parti a definire con


reciproca soddisfazione la lite, anche al


di là delle soluzioni in diritto. Fatta questa premessa, tuttavia, la Corte


non ne condivide fino in fondo le implicazioni ma, riportando l’attenzione sul


dato normativo, ne attenua sensibilmente la portata: nonostante il rilievo


riconosciuto alla presenza personale, infatti, la Corte esclude che, in assenza


di una norma espressa in tal senso, la partecipazione alla mediazione sia una


attività personalissima (come lo è ad


esempio la partecipazione all’interrogatorio formale) ed ammette quindi, pur


senza auspicarlo, che la parte possa farsi rappresentare davanti al mediatore.


Testualmente la S.C. afferma che “L'art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo


incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro


avvocati. La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta


che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte


non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il


proprio avvocato. Tuttavia, la necessità della comparizione personale non


comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una


previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente


personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri.


Laddove, per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione,


ad alcuni momenti processuali, o per l'attribuzione di un particolare valore


alle dichiarazioni rese dalla parte, la lege non ha ritenuto che la parte


potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato


alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art.


231 c.p.c, sulla risposta all'interrogatorio formale: "La parte


interrogata deve rispondere personalmente" e il successivo art. 232 che fa


discendere precise conseguenze alla mancata presentazione della parte a rendere


interrogatorio): v. Cass. n. 15195 del 2000: "L’interrogatorio formale non


può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è


deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all'art.


231 cod. proc. civ. Non è previsto, né escluso che la delega possa essere


conferita al proprio difensore. Deve


quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l


’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o


per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di


mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche -


ma non solo - dal suo difensore.”.


C'è poi un altro passaggio motivazionale che merita


attenzione poiché diretto alla individuazione del momento in cui possa


ritenersi soddisfatta la condizione di procedibilità.


Il noto interpretativo ruota intorno al seguente


interrogativo: è sufficiente che le parti compaiano, assistite dai loro avvocati,


per il primo incontro davanti al mediatore o è necessario che si dia effettivo


corso alla mediazione? In altri termini, è sufficiente che il futuro attore (o


l'attuale attore, come nel nostro caso, qualora le parti siano stata rimesse in


mediazione dal giudice, a causa già iniziata) sia fisicamente presente, in


proprio o delegando la presenza ad altra persona, e possa, finite la formalità


preliminari illustrative delle finalità e delle modalità della mediazione,


limitarsi a comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere


oltre e di provare a trovare una soluzione, o è necessario che la mediazione


sia "effettiva", che le parti provino quanto meno a discutere per


trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di


addivenire ad una soluzione positiva?


In riposta, la S.C., ha rilevato che sia l'argomento


letterale – il testo dell'art, 8 – che l'argomento sistematico – la necessità


di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo,


ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l'accesso


alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l'onere della parte che


intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato


preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al


mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa


ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la


comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale,


ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e


alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il


suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire)


la procedura di mediazione.


In questo senso deporrebbe, sempre ad avviso degli


Ermellini, la struttura del procedimento, disciplinata dall’art. 8 e suddivisa


in un primo incontro preliminare davanti al mediatore (“Durante il primo


incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di


svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro,


invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di


iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo


svolgimento.”) e in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento


della mediazione. Solo se le parti gli danno il via per procedere alla


successiva fase di discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le


parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti


si arresterà alla fase preliminare (all'esito della quale sono dovute solo le


spese, e non anche il compenso del mediatore). Non andrà in ogni caso avanti,


dando atto dell'esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non


compare, o se compare e dichiara dì non essere interessato alla mediazione.


Come anticipato, tale conclusione non ha trovato conforto


nella giurisprudenza di merito ed in particolare in seno ai Tribunali che avevano


contribuito a generare gli orientamenti interpretativi più significativi in


materia.


Non ha tardato a pronunciarsi il Tribunale di Firenze,


evidenziando come l’interpretazione restrittiva accolta dalla Corte


rischierebbe, di ridurre il primo incontro ad una mera formalità e ciò a


maggior ragione se si consente che a parteciparvi siano i soli avvocati i


quali, muniti di procura sostanziale, autenticata o meno, si limitino a


rappresentare davanti al mediatore le tesi difensive dei propri clienti.


Il giudice fiorentino, non si limita a criticare le


argomentazioni offerte dalla S.C, ma coglie l’occasione per evidenziare la


struttura bifasica del primo incontro di mediazione e la necessaria effettività


della stessa. La pronuncia analizza l’art. 8 del citato Decreto e ne propone


due sotto-letture:


a)      


la prima per cui nel


primo incontro il mediatore dovrebbe limitarsi ad informare le parti in ordine


alla natura e alle funzioni della mediazione per poi chiedere loro di


esprimersi sulla possibilità di


avviare la mediazione; ricevute le informazioni il primo incontro dovrebbe


considerarsi esaurito e le parti dovrebbero dunque entrare in mediazione e versare le relative indennità salva


l’esistenza di un motivo oggettivo


che renda impossibile l’avvio del procedimento; qualora tale motivo non


sussista le parti non potrebbero invece semplicemente rifiutare di entrare in mediazione manifestando la loro soggettiva


indisponibilità a mediare, in quanto tale rifiuto non consentirebbe loro di


soddisfare la condizione di procedibilità posta dall’art. 5[19];


b)    


la seconda, meno rigida


ma altrettanto rigorosa, secondo cui il mediatore dovrebbe dapprima chiarire


alle parti le funzioni e le modalità di svolgimento della mediazione, dopo di


che – salva l’esistenza di motivi oggettivi


di impossibilità (quali ad esempio, un difetto di legittimazione o di


rappresentanza che porterebbero alla immediata chiusura del procedimento con


contestuale soddisfacimento della condizione di procedibilità) – dovrebbe


immediatamente dare avvio alla mediazione che potrebbe concludersi già in


quell’incontro con la definitiva constatazione del mancato accordo oppure con


la conciliazione delle parti o ancora con l’impegno delle parti a proseguire


nel percorso avviato per tentare in uno o più incontri successivi di conciliare


la lite.


Partendo da tale assunto il tribunale di Firenze conclude


rilevando che la scelta ermeneutica operata con la sentenza n. 8473/2019,


fondata sull’idoneità, ai fini della procedibilità della domanda, di un primo


incontro meramente informativo e preliminare, si pone in distonia con le


suddette finalità della mediazione ed in genere con i sistemi di risoluzione


alternativa delle controversie, c.d. ADR (“alternative


despute resolution”).


Ed infatti, ridurre l’esperimento del procedimento di


mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti


innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai


propri difensori muniti di procura speciale come precisato dalla S.C.), per


ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di


svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà


di mediare comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento


divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla


tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere


ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione.


Sempre in tal senso deve leggersi l’ulteriore sopra citata


pronuncia del Tribunale di Roma, impegnato a rilevare la contraddizione del


ragionamento logico giuridico seguito dagli Ermellini, attraverso


l’interpretazione letterale, sistematica e teleologica del Decreto Legislativo


28/2010.


Il giudice capitolino rileva che “Si rinvengono nel decr.lgsl.28/10, numerosi riferimenti testuali,


alle parti in aggiunta agli avvocati. L’art. 8 primo comma terzo periodo


dispone che al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della


procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. E


prosegue, prevedendo che durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle


parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore,


sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a


esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso


positivo, procede con lo svolgimento. Occorre chiedersi se l’espressione


“parte” possa essere correttamente interpretata, indifferentemente, sia come


parte fisica personalmente presente e sia come parte fisica non presente ma


rappresentata da un terzo. La risposta negativa a una tale ambivalente


interpretazione si reputa possa essere tratta da convergenti riferimenti logici


e normativi che inducono a ritenere che la giusta accezione della parola parte


(fisica) sia solo quella riferita al soggetto, personalmente presente, titolare


dei diritti oggetto di contesa. Appare utile a tal fine analizzare i contenuti


dell’istituto, in tal modo facendo emergere:


a. l’aspetto dinamico della


mediazione, intesa come procedimento nell’ambito del quale una parte incontra


l’altra parte, e si giova, con l’assistenza degli avvocati, della presenza


fattiva di un soggetto terzo, il mediatore, deputato ad aiutare e facilitare le


parti a focalizzare e fare emergere i loro più pregnanti interessi come pure a


individuare i possibili punti di incontro degli opposti punti di vista, al fine


del raggiungimento di un accordo che prevenga o ponga fine ad una lite, e


b. la mediazione, in senso statico,


vista nel suo tratto finale e conclusivo dell’accordo raggiunto.


E se per questo secondo aspetto, che


attinge niente di più e niente di meno che alla realizzazione e composizione di


un negozio giuridico, in ambito di diritti disponibili, è agevole ammettere la


rappresentanza della parte, non altrettanto può dirsi per la mediazione


nell’accezione di cui alla lettera a) che precede. È utile ricordare che è la stessa Corte di


Cassazione, nella sentenza citata, a tratteggiare, in modo corretto, la natura


e le caratteristiche della procedura di mediazione.


Si tratta, recita la sentenza, di


“un procedimento deformalizzato che si svolge davanti al mediatore, in cui la


miglior garanzia di riuscita era costituita innanzitutto dalla stessa


professionalizzazione delle figura del mediatore, e dall'offerta alle parti di


un momento di incontro, perché potessero liberamente discutere prima che le


rispettive posizioni risultassero irrigidite dalle posizioni processuali


assunte e dalle linee difensive adottate, nonché da agevolazioni fiscali.


Il successo dell'attività di


mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore


professionale il quale può, grazie all’ interlocuzione diretta ed informale con


esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare


una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale


controversia, consenta loro di evitare l'acuirsi della conflittualità e


definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca


soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali”.


Ed ancora: ..”come si è detto, il legislatore ha previsto e voluto la


comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, perché solo nel


dialogo informale e diretto tra parti e mediatore, conta che si possa trovare


quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la


controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti”


A ben vedere quindi, è la stessa


sentenza della S.C. n. 8473/19 del 7.3.2019 che predica, in armonia con le


caratteristiche normative dell’istituto, la necessaria presenza personale della


parte in mediazione.


Né vi è, in via di principio, alcuna


necessità che ciò debba essere dichiarato espressamente dalla legge.


L’importante è che la voluntas legis in questa direzione sia sufficientemente


chiara e certa.


L’affermazione, contenuta nella


stessa sentenza della Suprema Corte., della delegabilità ad altro soggetto


della partecipazione, costituisce pertanto un non sequitur del ragionamento,


fino ad un certo punto invece chiaro lineare e condivisibile.


Se si pone l’accento sulla


centralità del contatto diretto e informale fra le parti, vera chiave di volta


della possibilità di successo della mediazione (è questo che afferma la


sentenza n. 8473/19 del 7.3.2019) e se si esalta la possibilità che con l’ausilio


del mediatore possano essere ricostituiti i rapporti pregressi delle parti (è


sempre la sentenza n. 8473/19 del 7.3.2019 ad affermarlo), come si può poi ,


solo perché nella legge non è stato espresso il divieto, convincentemente


predicare che quello stesso legislatore abbia ammesso la valida assenza della


parte personalmente?


Al contrario. L’obbligatoria


presenza delle parti personalmente è agevolmente e chiaramente manifestata


proprio da quanto esattamente la Suprema Corte faceva precedere alla sua non


coerente conclusione.”


 


**********


 


In conclusione l’analisi delle pronunce sopra citate impone


all’interprete di ridisegnare il rapporto tra mediazione e processo civile e di


inquadrarlo nella relazione che, in generale, corre tra qualsiasi strumento


alternativo di risoluzione dei conflitti e l’aggiudicazione delle controversie


da parte del giudice; relazione che non può e non deve essere limitata al


concetto di procedibilità, nella nota accezione del rapporto tra procedimento e


processo in termini di esclusione, ma che al contrario deve essere


opportunamente analizzata in termini di prevenzione.


Ed infatti all’indomani dell’introduzione della mediazione,


la prima riflessione giuridica che purtroppo anche oggi risulta accolta da una


parte del ceto forense ha affermato che il legislatore ha istituito una sorta


di “doppio binario”, distinguendo gruppo predeterminato di controversie e la


cui esperibilità del tentativo di mediazione è obbligatoria, e quelle per le


quali la scelta di ricorrere a questa procedura è rimessa invece alla


discrezionalità delle parti.


È finanche evidente che tale interpretazione è oltremodo


superficiale e bypassata dall’effettiva ratio dell’istituto per come delineato


in ambito europeo. Recentemente, in virtù di cattive prassi, la giurisprudenza


di merito è intervenuta e sulla base della cosiddetta prevenzione è stato


autorevolmente osservato che il rapporto tra mediazione e processo civile, non


si limita ad una relazione “cronologica”, necessaria ovvero facoltativa. Esso


si traduce anche nel necessario coordinamento tra l’attività svolta avanti al


mediatore e quella che ha luogo davanti al giudice.


È a questo punto che è possibile focalizzare la nostra


attenzione sul primo incontro di mediazione, poiché dall’effettivo svolgimento


dello stesso si snodano i rapporti tra procedimento e processo.


Il primo incontro di mediazione, così come novellato dal


Legislatore del 2013, il quale, rinormandolo radicalmente, ne ha mutato


funzione e finalità.


Art. 8 comma 1, 5° periodo del D.Lgs 28/2010, novellato


dall’Art. 84 della L. 98/2013: Durante il


primo incontro il mediatore


chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione.


Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro


avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione


e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”


L’infelice formulazione della norma lascia ampio spazio a


questioni riguardano l’effettivo svolgimento del primo incontro di mediazione e


l’assolvimento della condizione di procedibilità.


Sarà agevole rilevare che si tratta dei medesimi


interrogativi che hanno interessato le pronunce sopra richiamate all’esito


delle quali può dirsi non risolto il contrasto giurisprudenziale.


Deve darsi atto che ci sono, anche dopo l’intervento della S.C.,


due scuole di pensiero una, ritiene che nel primo incontro il mediatore si


debba attenere a quanto chiesto dalla norma, cioè a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della


mediazione, ma così facendo non si farebbe altro che ripetere un discorso


che la legge vuole sia stato già fatto dagli avvocati ai propri clienti prima


di sedersi al tavolo della mediazione (art.4. comma 3); l’altra, ritiene che


già al primo incontro si debba entrare nel merito della controversia e fare


esporre alle parti le loro posizioni iniziali per comprendere se vi siano i


margini per una conciliazione amichevole, così si spiegherebbe il comma 2bis dell’art. 5.


Possibilità/volontà


Si è ritenuto da più parti che, nel caso in cui le parti ed


i loro avvocati si esprimano in senso negativo sulla possibilità di iniziare la


procedura, il Mediatore debba redigere verbale negativo e chiudere il


procedimento; in tal caso le parti avrebbero assolto la condizione di


procedibilità della domanda giudiziale e potrebbero agire in sede


giurisdizionale.


A prima vista tale interpretazione della norma sembrerebbe


corretta ma, approfondendone i contenuti e partendo dal tenore letterale della


stessa, è possibile giungere a conclusioni di altra e ben diversa, se non


antitetica natura. Partiamo dall’inconfutabile ed inconfutato presupposto in


base al quale il mediatore, dopo aver chiarito alle parti la funzione e le


modalità di svolgimento della mediazione, debba interrogare le stesse ed i loro


avvocati al fine di verificare la possibilità di iniziare la procedura di


mediazione.


Conseguentemente ed alla luce di una lettura probabilmente


non approfondita della norma, si è ritenuto che, all’esito della domanda che il


mediatore deve formulare alle parti in merito alla possibilità di iniziare la


mediazione, queste ultime possano porre fine al procedimento con una semplice


risposta negativa.


Riteniamo tale, peraltro diffusa interpretazione della


norma, non condivisibile in quanto assunta sulla scorta di una disamina


estremamente superficiale della stessa. La norma parla di “possibilità” e non


certamente di “volontà”. Lessicalmente, la “possibilità” consiste nella


condizione, nella facoltà, nel potere di fare una cosa; è l’eventualità che


qualcosa possa accadere o essere fatto; è l’occasione, l’opportunità, la


facoltà di fare o ottenere qualcosa.


Quando può non essere “possibile” iniziare la procedura?


A conferma di tale interpretazione vi è il già citato art. 5


comma 2-bis, laddove prevede che: “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione


è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si


considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza


l’accordo”, intende disciplinare una fattispecie che temporalmente, si colloca


in una fase immediatamente successiva a quella appena esaminata, ovvero presume


che le parti si siano espresse favorevolmente in merito alla possibilità di


iniziare la mediazione, che la stessa sia iniziata e che si sia conclusa


negativamente nel corso del primo incontro.


In tal caso la condizione di procedibilità della domanda


giudiziale si considera assolta!


Da un punto di vista interpretativo occorre, comunque,


considerare che il Legislatore, che in un primo momento aveva definito il primo


incontro “Incontro di programmazione”, in sede di conversione del Decreto del


fare lo ha definito semplicemente “Primo incontro”. Tale differenza è


fondamentale, in quanto vale a far comprendere la reale strutturazione del


procedimento, il quale non si scinde in due fasi, quella preliminare e,


all’esito della prima, quella successiva, ovvero la mediazione vera e propria;


ridenominando il primo incontro, il Legislatore ha inteso chiarire che la


procedura ha inizio già al momento del primo incontro, il quale consta di due


fasi: quella prettamente tecnica che prevede che le parti e gli avvocati delle


stesse si esprimano in merito alla possibilità di iniziare la procedura, quindi


la seconda fase, la quale ha inizio immediatamente dopo e consiste nel vero


procedimento di mediazione, la quale, dopo il parere delle parti, può iniziare.


Alla luce delle considerazioni effettuate, le pronunce


analizzate in materia non possono e non costituiscono il tanto auspicato


approdo interpretativo, ma solo l’avvio di una valutazione che, in una


prospettiva de iure condendo, deve essere ancora limata.


 



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