Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473 Posto che nel procedimento di mediazione obbligatoria (art. 5, d.lgs. 28/2010) è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale. La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019 Non è condivisibile il principio di diritto espresso da Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473, dovendosi invece ritenere che, ai fini della condizione di procedibilità, già nel corso del primo incontro, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione avendo difatti il primo incontro di mediazione natura essenzialmente “bifasica”, la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva. Tribunale di Roma, 27 giugno 2019, n. 13630 Va affermata, in senso opposto a Cassazione civile 7.3.2019, n. 8473, la necessaria partecipazione personale in mediazione, non delegabile a terzo soggetto, salvo casi eccezionali di impossibilità giuridica o materiale a comparire di persona; essa è insita nella natura stessa della mediazione, nonché implicita ed ineludibile nella corretta interpretazione del d.lgs. 28/2010, nel suo insieme proteso a favorire il raggiungimento di un accordo attraverso l’incontro delle parti (personalmente) e il recupero di un corretto rapporto interpersonale messo in crisi dal conflitto insorto. È in particolare esclusa dalla legge alla radice la presenza del solo avvocato, sia pure munito di delega del cliente. ************** L’analisi delle questioni controverse in materia di mediazione ha interessato in maniera pressocchè prevalente la giurisprudenza di merito, impegnata ad offrire una lettura della condizione di procedibilità strettamente connessa alla partecipazione effettiva delle parti. Seppur non vivace, si registrava un contrasto tra le possibili interpretazioni della disciplina della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 bis del Decreto 28/2010 come riformato nel 2013. Risultavano, contrapposte le interpretazioni più rigorose, secondo cui per soddisfare la condizione di procedibilità sarebbe stata necessaria una mediazione effettiva (la parte cioè avrebbe dovuto non solo presenziare personalmente al primo incontro assistita dal proprio avvocato ma, salva l’esistenza di ragioni oggettive di impossibilità, avrebbe anche dovuto proseguire la mediazione nel merito) a quelle più morbide secondo cui la presenza, al primo incontro anche del solo avvocato in sostituzione della parte o addirittura la mera presentazione dell’istanza sarebbero state sufficienti ad adempiere l’obbligo che, in ogni caso, sarebbe stato soddisfatto anche qualora all’esito del primo incontro una od entrambe le parti, od i loro avvocati, dopo essere stati edotti dal mediatore circa la natura ed il funzionamento della mediazione, avessero manifestato la loro indisponibilità a proseguire il procedimento. A comporre tale contrasto è intervenuta la Suprema Corte fornendo un’interpretazione idonea a superare i divergenti orientamenti della giurisprudenza di merito. Invero, la pronuncia di legittimità costituisce un’occasione mancata poiché il percorso motivazionale seguito dagli Ermellini ha ingenerato la pronta critica della giurisprudenza di merito. Ed infatti, la S.C. in incipit accoglie e fa proprie le posizioni della giurisprudenza più rigorosa, insistendo sull’importanza che assume la partecipazione personale e riconoscendo come solo il contatto diretto e l’interlocuzione informale con il mediatore possano aiutare le parti a definire con reciproca soddisfazione la lite, anche al di là delle soluzioni in diritto. Fatta questa premessa, tuttavia, la Corte non ne condivide fino in fondo le implicazioni ma, riportando l’attenzione sul dato normativo, ne attenua sensibilmente la portata: nonostante il rilievo riconosciuto alla presenza personale, infatti, la Corte esclude che, in assenza di una norma espressa in tal senso, la partecipazione alla mediazione sia una attività personalissima (come lo è ad esempio la partecipazione all’interrogatorio formale) ed ammette quindi, pur senza auspicarlo, che la parte possa farsi rappresentare davanti al mediatore. Testualmente la S.C. afferma che “L'art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati. La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato. Tuttavia, la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri. Laddove, per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l'attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la lege non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art. 231 c.p.c, sulla risposta all'interrogatorio formale: "La parte interrogata deve rispondere personalmente" e il successivo art. 232 che fa discendere precise conseguenze alla mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio): v. Cass. n. 15195 del 2000: "L’interrogatorio formale non può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all'art. 231 cod. proc. civ. Non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore. Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l ’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche - ma non solo - dal suo difensore.”. C'è poi un altro passaggio motivazionale che merita attenzione poiché diretto alla individuazione del momento in cui possa ritenersi soddisfatta la condizione di procedibilità. Il noto interpretativo ruota intorno al seguente interrogativo: è sufficiente che le parti compaiano, assistite dai loro avvocati, per il primo incontro davanti al mediatore o è necessario che si dia effettivo corso alla mediazione? In altri termini, è sufficiente che il futuro attore (o l'attuale attore, come nel nostro caso, qualora le parti siano stata rimesse in mediazione dal giudice, a causa già iniziata) sia fisicamente presente, in proprio o delegando la presenza ad altra persona, e possa, finite la formalità preliminari illustrative delle finalità e delle modalità della mediazione, limitarsi a comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione, o è necessario che la mediazione sia "effettiva", che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva? In riposta, la S.C., ha rilevato che sia l'argomento letterale – il testo dell'art, 8 – che l'argomento sistematico – la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l'accesso alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l'onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione. In questo senso deporrebbe, sempre ad avviso degli Ermellini, la struttura del procedimento, disciplinata dall’art. 8 e suddivisa in un primo incontro preliminare davanti al mediatore (“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”) e in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento della mediazione. Solo se le parti gli danno il via per procedere alla successiva fase di discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti si arresterà alla fase preliminare (all'esito della quale sono dovute solo le spese, e non anche il compenso del mediatore). Non andrà in ogni caso avanti, dando atto dell'esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non compare, o se compare e dichiara dì non essere interessato alla mediazione. Come anticipato, tale conclusione non ha trovato conforto nella giurisprudenza di merito ed in particolare in seno ai Tribunali che avevano contribuito a generare gli orientamenti interpretativi più significativi in materia. Non ha tardato a pronunciarsi il Tribunale di Firenze, evidenziando come l’interpretazione restrittiva accolta dalla Corte rischierebbe, di ridurre il primo incontro ad una mera formalità e ciò a maggior ragione se si consente che a parteciparvi siano i soli avvocati i quali, muniti di procura sostanziale, autenticata o meno, si limitino a rappresentare davanti al mediatore le tesi difensive dei propri clienti. Il giudice fiorentino, non si limita a criticare le argomentazioni offerte dalla S.C, ma coglie l’occasione per evidenziare la struttura bifasica del primo incontro di mediazione e la necessaria effettività della stessa. La pronuncia analizza l’art. 8 del citato Decreto e ne propone due sotto-letture: a) la prima per cui nel primo incontro il mediatore dovrebbe limitarsi ad informare le parti in ordine alla natura e alle funzioni della mediazione per poi chiedere loro di esprimersi sulla possibilità di avviare la mediazione; ricevute le informazioni il primo incontro dovrebbe considerarsi esaurito e le parti dovrebbero dunque entrare in mediazione e versare le relative indennità salva l’esistenza di un motivo oggettivo che renda impossibile l’avvio del procedimento; qualora tale motivo non sussista le parti non potrebbero invece semplicemente rifiutare di entrare in mediazione manifestando la loro soggettiva indisponibilità a mediare, in quanto tale rifiuto non consentirebbe loro di soddisfare la condizione di procedibilità posta dall’art. 5[19]; b) la seconda, meno rigida ma altrettanto rigorosa, secondo cui il mediatore dovrebbe dapprima chiarire alle parti le funzioni e le modalità di svolgimento della mediazione, dopo di che – salva l’esistenza di motivi oggettivi di impossibilità (quali ad esempio, un difetto di legittimazione o di rappresentanza che porterebbero alla immediata chiusura del procedimento con contestuale soddisfacimento della condizione di procedibilità) – dovrebbe immediatamente dare avvio alla mediazione che potrebbe concludersi già in quell’incontro con la definitiva constatazione del mancato accordo oppure con la conciliazione delle parti o ancora con l’impegno delle parti a proseguire nel percorso avviato per tentare in uno o più incontri successivi di conciliare la lite. Partendo da tale assunto il tribunale di Firenze conclude rilevando che la scelta ermeneutica operata con la sentenza n. 8473/2019, fondata sull’idoneità, ai fini della procedibilità della domanda, di un primo incontro meramente informativo e preliminare, si pone in distonia con le suddette finalità della mediazione ed in genere con i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, c.d. ADR (“alternative despute resolution”). Ed infatti, ridurre l’esperimento del procedimento di mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai propri difensori muniti di procura speciale come precisato dalla S.C.), per ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà di mediare comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione. Sempre in tal senso deve leggersi l’ulteriore sopra citata pronuncia del Tribunale di Roma, impegnato a rilevare la contraddizione del ragionamento logico giuridico seguito dagli Ermellini, attraverso l’interpretazione letterale, sistematica e teleologica del Decreto Legislativo 28/2010. Il giudice capitolino rileva che “Si rinvengono nel decr.lgsl.28/10, numerosi riferimenti testuali, alle parti in aggiunta agli avvocati. L’art. 8 primo comma terzo periodo dispone che al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. E prosegue, prevedendo che durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Occorre chiedersi se l’espressione “parte” possa essere correttamente interpretata, indifferentemente, sia come parte fisica personalmente presente e sia come parte fisica non presente ma rappresentata da un terzo. La risposta negativa a una tale ambivalente interpretazione si reputa possa essere tratta da convergenti riferimenti logici e normativi che inducono a ritenere che la giusta accezione della parola parte (fisica) sia solo quella riferita al soggetto, personalmente presente, titolare dei diritti oggetto di contesa. Appare utile a tal fine analizzare i contenuti dell’istituto, in tal modo facendo emergere: a. l’aspetto dinamico della mediazione, intesa come procedimento nell’ambito del quale una parte incontra l’altra parte, e si giova, con l’assistenza degli avvocati, della presenza fattiva di un soggetto terzo, il mediatore, deputato ad aiutare e facilitare le parti a focalizzare e fare emergere i loro più pregnanti interessi come pure a individuare i possibili punti di incontro degli opposti punti di vista, al fine del raggiungimento di un accordo che prevenga o ponga fine ad una lite, e b. la mediazione, in senso statico, vista nel suo tratto finale e conclusivo dell’accordo raggiunto. E se per questo secondo aspetto, che attinge niente di più e niente di meno che alla realizzazione e composizione di un negozio giuridico, in ambito di diritti disponibili, è agevole ammettere la rappresentanza della parte, non altrettanto può dirsi per la mediazione nell’accezione di cui alla lettera a) che precede. È utile ricordare che è la stessa Corte di Cassazione, nella sentenza citata, a tratteggiare, in modo corretto, la natura e le caratteristiche della procedura di mediazione. Si tratta, recita la sentenza, di “un procedimento deformalizzato che si svolge davanti al mediatore, in cui la miglior garanzia di riuscita era costituita innanzitutto dalla stessa professionalizzazione delle figura del mediatore, e dall'offerta alle parti di un momento di incontro, perché potessero liberamente discutere prima che le rispettive posizioni risultassero irrigidite dalle posizioni processuali assunte e dalle linee difensive adottate, nonché da agevolazioni fiscali. Il successo dell'attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie all’ interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l'acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali”. Ed ancora: ..”come si è detto, il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, perché solo nel dialogo informale e diretto tra parti e mediatore, conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti” A ben vedere quindi, è la stessa sentenza della S.C. n. 8473/19 del 7.3.2019 che predica, in armonia con le caratteristiche normative dell’istituto, la necessaria presenza personale della parte in mediazione. Né vi è, in via di principio, alcuna necessità che ciò debba essere dichiarato espressamente dalla legge. L’importante è che la voluntas legis in questa direzione sia sufficientemente chiara e certa. L’affermazione, contenuta nella stessa sentenza della Suprema Corte., della delegabilità ad altro soggetto della partecipazione, costituisce pertanto un non sequitur del ragionamento, fino ad un certo punto invece chiaro lineare e condivisibile. Se si pone l’accento sulla centralità del contatto diretto e informale fra le parti, vera chiave di volta della possibilità di successo della mediazione (è questo che afferma la sentenza n. 8473/19 del 7.3.2019) e se si esalta la possibilità che con l’ausilio del mediatore possano essere ricostituiti i rapporti pregressi delle parti (è sempre la sentenza n. 8473/19 del 7.3.2019 ad affermarlo), come si può poi , solo perché nella legge non è stato espresso il divieto, convincentemente predicare che quello stesso legislatore abbia ammesso la valida assenza della parte personalmente? Al contrario. L’obbligatoria presenza delle parti personalmente è agevolmente e chiaramente manifestata proprio da quanto esattamente la Suprema Corte faceva precedere alla sua non coerente conclusione.” ********** In conclusione l’analisi delle pronunce sopra citate impone all’interprete di ridisegnare il rapporto tra mediazione e processo civile e di inquadrarlo nella relazione che, in generale, corre tra qualsiasi strumento alternativo di risoluzione dei conflitti e l’aggiudicazione delle controversie da parte del giudice; relazione che non può e non deve essere limitata al concetto di procedibilità, nella nota accezione del rapporto tra procedimento e processo in termini di esclusione, ma che al contrario deve essere opportunamente analizzata in termini di prevenzione. Ed infatti all’indomani dell’introduzione della mediazione, la prima riflessione giuridica che purtroppo anche oggi risulta accolta da una parte del ceto forense ha affermato che il legislatore ha istituito una sorta di “doppio binario”, distinguendo gruppo predeterminato di controversie e la cui esperibilità del tentativo di mediazione è obbligatoria, e quelle per le quali la scelta di ricorrere a questa procedura è rimessa invece alla discrezionalità delle parti. È finanche evidente che tale interpretazione è oltremodo superficiale e bypassata dall’effettiva ratio dell’istituto per come delineato in ambito europeo. Recentemente, in virtù di cattive prassi, la giurisprudenza di merito è intervenuta e sulla base della cosiddetta prevenzione è stato autorevolmente osservato che il rapporto tra mediazione e processo civile, non si limita ad una relazione “cronologica”, necessaria ovvero facoltativa. Esso si traduce anche nel necessario coordinamento tra l’attività svolta avanti al mediatore e quella che ha luogo davanti al giudice. È a questo punto che è possibile focalizzare la nostra attenzione sul primo incontro di mediazione, poiché dall’effettivo svolgimento dello stesso si snodano i rapporti tra procedimento e processo. Il primo incontro di mediazione, così come novellato dal Legislatore del 2013, il quale, rinormandolo radicalmente, ne ha mutato funzione e finalità. Art. 8 comma 1, 5° periodo del D.Lgs 28/2010, novellato dall’Art. 84 della L. 98/2013: Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento” L’infelice formulazione della norma lascia ampio spazio a questioni riguardano l’effettivo svolgimento del primo incontro di mediazione e l’assolvimento della condizione di procedibilità. Sarà agevole rilevare che si tratta dei medesimi interrogativi che hanno interessato le pronunce sopra richiamate all’esito delle quali può dirsi non risolto il contrasto giurisprudenziale. Deve darsi atto che ci sono, anche dopo l’intervento della S.C., due scuole di pensiero una, ritiene che nel primo incontro il mediatore si debba attenere a quanto chiesto dalla norma, cioè a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, ma così facendo non si farebbe altro che ripetere un discorso che la legge vuole sia stato già fatto dagli avvocati ai propri clienti prima di sedersi al tavolo della mediazione (art.4. comma 3); l’altra, ritiene che già al primo incontro si debba entrare nel merito della controversia e fare esporre alle parti le loro posizioni iniziali per comprendere se vi siano i margini per una conciliazione amichevole, così si spiegherebbe il comma 2bis dell’art. 5. Possibilità/volontà Si è ritenuto da più parti che, nel caso in cui le parti ed i loro avvocati si esprimano in senso negativo sulla possibilità di iniziare la procedura, il Mediatore debba redigere verbale negativo e chiudere il procedimento; in tal caso le parti avrebbero assolto la condizione di procedibilità della domanda giudiziale e potrebbero agire in sede giurisdizionale. A prima vista tale interpretazione della norma sembrerebbe corretta ma, approfondendone i contenuti e partendo dal tenore letterale della stessa, è possibile giungere a conclusioni di altra e ben diversa, se non antitetica natura. Partiamo dall’inconfutabile ed inconfutato presupposto in base al quale il mediatore, dopo aver chiarito alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, debba interrogare le stesse ed i loro avvocati al fine di verificare la possibilità di iniziare la procedura di mediazione. Conseguentemente ed alla luce di una lettura probabilmente non approfondita della norma, si è ritenuto che, all’esito della domanda che il mediatore deve formulare alle parti in merito alla possibilità di iniziare la mediazione, queste ultime possano porre fine al procedimento con una semplice risposta negativa. Riteniamo tale, peraltro diffusa interpretazione della norma, non condivisibile in quanto assunta sulla scorta di una disamina estremamente superficiale della stessa. La norma parla di “possibilità” e non certamente di “volontà”. Lessicalmente, la “possibilità” consiste nella condizione, nella facoltà, nel potere di fare una cosa; è l’eventualità che qualcosa possa accadere o essere fatto; è l’occasione, l’opportunità, la facoltà di fare o ottenere qualcosa. Quando può non essere “possibile” iniziare la procedura? A conferma di tale interpretazione vi è il già citato art. 5 comma 2-bis, laddove prevede che: “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, intende disciplinare una fattispecie che temporalmente, si colloca in una fase immediatamente successiva a quella appena esaminata, ovvero presume che le parti si siano espresse favorevolmente in merito alla possibilità di iniziare la mediazione, che la stessa sia iniziata e che si sia conclusa negativamente nel corso del primo incontro. In tal caso la condizione di procedibilità della domanda giudiziale si considera assolta! Da un punto di vista interpretativo occorre, comunque, considerare che il Legislatore, che in un primo momento aveva definito il primo incontro “Incontro di programmazione”, in sede di conversione del Decreto del fare lo ha definito semplicemente “Primo incontro”. Tale differenza è fondamentale, in quanto vale a far comprendere la reale strutturazione del procedimento, il quale non si scinde in due fasi, quella preliminare e, all’esito della prima, quella successiva, ovvero la mediazione vera e propria; ridenominando il primo incontro, il Legislatore ha inteso chiarire che la procedura ha inizio già al momento del primo incontro, il quale consta di due fasi: quella prettamente tecnica che prevede che le parti e gli avvocati delle stesse si esprimano in merito alla possibilità di iniziare la procedura, quindi la seconda fase, la quale ha inizio immediatamente dopo e consiste nel vero procedimento di mediazione, la quale, dopo il parere delle parti, può iniziare. Alla luce delle considerazioni effettuate, le pronunce analizzate in materia non possono e non costituiscono il tanto auspicato approdo interpretativo, ma solo l’avvio di una valutazione che, in una prospettiva de iure condendo, deve essere ancora limata.